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Signori avvoltoi o integerrimi esattori?
Castruzzone: Storia di un castello di strada



Passeggiata singolare quella che ci conduce nei pressi di ruderi che hanno segnato la storia di questi luoghi per poi cadere nell'oblio quasi completo, lasciando solo alle ali della fantasia e della leggenda il compito di favoleggiare di "Signori Predoni" e di passaggi e cunicoli che dal castello avrebbero in qualche modo condotto fino alla strada che transita a valle, costruiti appositamente per rapire i viandanti che non intendevano pagare i balzelli ai feudatari.
 
Iniziamo ad analizzare il nome del comune in cui il castello si trova: Carema, l'estremo confine del Piemonte verso la Valle d'Aosta, un borgo di certo molto particolare. 
Già G. Ferrero in uno studio del 1888 lo credette allusivio alla "Quadragesima Galliarum" cioè alla 'quarantesima libbra' che in quel punto, di confine tra l'Italia ed i "fines Cottii", veniva riscossa dai Romani, col tasso del due e mezzo per cento sul valore delle merci introdotte. Tassa che come spiega il Serra, si continuò a pagare su quello che poi fu il 'limes' tra Italia e la Borgogna, fino al regno di Berengario e di Ottone I, più o meno nella stessa zona.
 
Un territorio di confine e di dogana fin da epoche molto antiche e da sempre, quando si parla di tassazione e dazi a carico di chi transita, in questi luoghi serpeggia il malumore che a volte si tramuta in qualcosa di più grave, come nel caso dei dissidi tra i comuni di Ivrea e Vercelli, che proprio in queste terre, si vedevano ledere vicendevolmente gli interessi.
 
Non ci è dato sapere quando i due comuni cominciarono, con i rispettivi vescovi, a fronteggiarsi per il monopolio delle pietre da macina di produzione valdostana, che da Carema dovevano forzatamente transitare per raggiungere la pianura, certo è che in gioco vi erano cifre rilevanti per giustificare, già nella prima metà del XII secolo, zuffe e battaglie tra le due parti.
 
La questione è spinosa e viene discussa anche in sede imperiale; Federico I dalla località di Würzburg nel 1152 riconosce al vescovo di Vercelli Uguccione, il diritto di acquistare e trasportare le macine contro ogni pretesa di altri. Per concretizzare tale diritto concede di “hedificare et munire” il Monte di Uguccione, la cima che presumibilmente venne così appellata in onore del vescovo vercellese.
 
I lavori iniziarono immediatamente tanto che in soli undici anni la nuova fortificazione venne realizzata ed esercitava il proprio ruolo di controllo per mano del Marchese Guglielmo di Monferrato (alleato a quell'epoca della città di Vercelli) o per meglio dire per mano dei Visconti di Valenza al quale la costruzione venne affidata da Guglielmo.
 
Il castello di Castruzzone (il cui nome deriva sicuramente da Castrum Uguccionis e non come erroneamente venne interpretato da Castrum Ugonis) si ritrova quindi in una posizione molto privilegiata lungo la vecchia strada delle Gallie, a valle dei territori controllati dai Savoia (ovvero la Valle d'Aosta in mano alla casata degli Challant) e a monte di numerosi castelli sulla via verso Eporedia, ricordiamo Montalto, Montestrutto, Settimo Vittone e Cesnola i cui signori patteggiavano di volta in volta con Vercelli oppure con Ivrea.
 
I legami tra Vercelli ed i marchesi del Monferrato presto terminano, ma il castello rimane quale possedimento monferrino ed inevitabilmente la marca casalese esercita il proprio arbitraggio sui pedaggi da e verso le Alpi. Sia la città eusebiana che Ivrea tentano vari e ripetuti atti di forza per strapparne il controllo ma debbono rassegnarsi nel corso dei secoli XII e XIII a trattare accettando l'inevitabile situazione.
 
Integerrimi e precisi 'esattori' la casata che diviene nota come "I Signori di Castruzzone" applicano rigorosamente il loro diritto di tassazione, poche sono le eccezioni limitate ad alcuni enti religiosi quali la canonica di S. Egidio di Verrès e l'abbazia di Brione. Oltre che sul commercio è documentato un controllo pesante anche sul traffico normale, che culmina con sequestro delle merci in transito. Un interessante documento riporta ad esempio che il comune d'Ivrea decreta una sanzione contro Uberto di Castruzzone poiché non ha ancora restituito gli 8 animali oltre alle derrate ed al sale che sono stati sequestrati, in un altro i signori di Castruzzone rispondono al Doge di Venezia specificando che i bagagli degli ambasciatori veneti presso la Santa Sede erano stati da loro sequestrati per errore poiché scambiati per Milanesi, ma che sono stati poi regolarmente restituiti al castellano sabaudo di Bard. 
 
L’importanza di sbarrare la strada ai nemici dei Monferrato venne rivalutata nel clima delle guerre e battaglie trecentesche che prelusero alla formazione dei principati territoriali. Tale prerogativa veniva esercitata efficacemente anche contro il conte di Savoia, fintanto che questi dominava la sola Valle d'Aosta, ma non il suo sbocco sino ad Ivrea tanto che, conscio dell’importanza strategica del luogo, nel 1344 cercò inutilmente di insediarsi a Castruzzone anche dal signore di Milano Luchino Visconti.
 
I documenti successivi ci portano al 1356 mentre il Monferrato minaccia di aumentare le tariffe il pedaggio... i Savoia conquistano stabilmente Ivrea: è l'inzio della decadenza, Castruzzone rappresenta una fastidiosa spina nel fianco conficcata nel pieno dei possessi sabaudi e dopo quasi duecento anni di onorato servizio, deve necessariamente soccombere.
 
Nel 1372 lo troviamo trasformato in una castellania dei Savoia, mantiene ancora la sua funzione di controllo viario "Nel periodo 31 gennaio 1379-1° gennaio 1383 un unico castellano regge le castellanie di Bard e di Castruzzone, pur con computi separati (solo i proventi dei «banna concordata» sono segnati tutti nei conti di Bard) ciò che già può essere inteso come un indizio della prossima smobilitazione della castellania di Castruzzone" (fonte A. Settia - Castelli e strade del nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, «strategia»). Nel 1391 il castello e il territorio di Carema ed il suo maniero, vengono utilizzati come merce di scambio, ceduti in feudo assieme a Lemie a Domenico Testa di Avigliana in cambio di Borgomasino.
 
Seguono decadenza ed abbandono, solo cenni relativi ad infeudazioni successive nel 1409, 1423, 1440.
Successivamente solo G. BELLARDA “Settimo Vittone. Appunti di storia Canavesana” Torino 1968  segnala nella seconda metà del secolo XVI un abbattimento del castello ordinato da Carlo III di Savoia insieme con altri della zona (il non lontano castelletto di Cesnola). 
 
Hanno così termine, nell'oblio più assoluto, le vicende legate ad una struttura voluta, progettata e costruita con funzioni di controllo stradale. Qualcuno vorrebbe che la totale rovina della struttura sia giunta nel 1777 per mano della popolazione locale maltrattata addirittura con un incendio; personalmente non reputo sia possibile che in tale epoca qualcuno ancora vivesse tra i resti delle sue possenti mura, al più un eremita, ma non certo una famiglia nobile, altrimenti i poveri resti, tuttora visibili, presenterebbero qualche segno di restauro od ampliamento tipico del XV secolo ma era una struttura "scomoda", nata esclusivamente con finalità militari di controllo e in posizione "strategica" che non consentiva la trasformazione in struttura residenziale, si ricordi che anche nel momento in cui il castello era saldamente in mano ai Castruzzone, essi non vi abitavano stabilmente. È probabile che il castello sia stato smantellato come sostiene il Bellagarda, ma già nel XVI secolo quasi certamente era già in stato d'abbandono da diversi decenni.
 
Osservando come la struttura si presenta oggi si rileva che resta in piedi una notevole parte della cinta muraria esterna lavorata a lisca di pesce, tecnica tipica delle strutture edificate tra il 1100 e il 1200; si ritrovano porte ad arco con stipiti ben squadrati e finestre regolari. 
 
Interessanti i conci utilizzati per gli spigoli che ricordano molto quelli utilizzati nella non lontana struttura esagonale di Pramotton, probabilmente Castruzzone venne realizzato da maestranze provenienti dalla Valle d'Aosta o ivi formatesi.
 
Curiosa, oltre che estremamente misteriosa, risulta quanto resta della torre; a prima vista si presenta come un tratto di spessissima parete sulla quale si apre una finestra, ma ad una analisi più accurata si comprende che la torre è adagiata su un fianco e quella che sembra una finestra è invece l'accesso al suo vano interno.
Le stranezze però continuano se si considerano le misure di questo torrione: i muri perimetrali variano tra 1,80 e 2,10 metri , mentre il vano interno misura 1,10 per 1,20 metri... a cosa poteva servire quel vano così angusto e cosa ha potuto abbattere una tale costruzione? 
Il Giacosa, durante la sua visita ipotizza possa averla atterrata un fulmine, ma appare assai improbabile, come non sembra possibile sia stata una carica d'esplosivo poiché la struttura appare intatta.
 
Un altro bel mistero che la storia ci consegna, o se preferite una nuova sfida che ci aspetta qualche metro più in alto degli assolati vigneti di Carema.
 




Danilo Alberto

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