Storia in soffitta

Il Castelletto di Cesnola
Da ghibellino a guelfo per questioni d’interesse

Lascia un commento approfondimento di: Danilo Alberto



Ancora oggi l’imponente mole del maniero di Cesnola ispira un profondo rispetto, sebbene ormai si trovi nella più completa rovina; possiamo dunque immaginare il timore che poteva suscitare in un viandante oppure un pellegrino medievale che, superato l’abitato di Settimo Vittone, procedeva verso Aosta.
Purtroppo le informazioni relative al castello di Cesnola, noto anche come Castelletto, sono davvero frammentarie. Cominciamo col dire che il nome della località secondo il Massia deriverebbe dalla voce celtica CASSANUS ovvero “quercia”, probabilmente però meglio interpreta il Serra che ipotizza una forma diminutiva CAESINOLA da CESINA “bosco tagliato”.

 

Quanto rimane di questa struttura che fu certo un tempo davvero ragguardevole vista la dimensione raggiunta  attraverso trasformazioni ed ampliamenti successivi, è segnato da secoli di oblio; amaro destino comune a quasi tutti gli edifici fortificati più antichi che non vennero ampliati e riedificati nel XIV e XV secolo o che non beneficiarono dei restauri “holliwoodiani” del D'Andrade, come ad esempio le non lontane costruzioni di Pavone e Montalto Dora ed anche la valdostana Fenis.


Troviamo i primi riferimenti alla località di Cisnolis, in un documento datato 1042, nella dote dell'abbazia di Santo Stefano di Ivrea, si fa menzione di:  “massaritium unum cum sedimine, casis, cascinis, campis, vineis, pratis, boschis, buscaleis, cum omne onore et integritate in Cisnolis”. Il territorio venne assegnato ai signori di Settimo Vittone.


Vi è poi una citazione datata 1180, quando Vercelli infeuda Roberto di San Martino del cosiddetto Castelletto, descritto come piccolo maniero vicino a Carema, con l'obiettivo di evitare la tassa imposta dal comune di Ivrea sulle macine da mulino realizzate in Valle d’Aosta; l’idea era di far transitare quelle destinate al vercellese attraverso questo castello per poi trasferirle direttamente a Bollengo, dove si trovava un altro struttura equivalente sempre di proprietà dei vercellesi. Ma il trucco non riuscì per molto tempo, la rocca venne distrutta e la questione delle “molarie” riprese a pesare negativamente sui rapporti tra i due comuni.


Certamente la parte più antica della struttura è il grande torrione di pietra (definito maschio o dongione), risalente all'XI secolo circa; presenta pianta quadrata di cinque metri di lato e mura di spessore superiore al metro, la cui porta d'accesso, con volta a tutto sesto, si trova a parecchi metri dal suolo per gli ovvi scopi difensivi (la scala in legno veniva calata solo quando non v’era pericolo).
Attorno a questa torre si formò il primo nucleo del castello, che poi venne ampliato e fortificato durante i tre secoli successivi, sino a raggiungere il non trascurabile perimetro di 175 metri.


Curiosa è la riconversione della merlatura da ghibellina a guelfa, mediante il riempimento delle “code di rondine” con massi che appaiono inseriti in un secondo tempo e con minor cura, se paragonati al resto della struttura.
Un evento nella storia del castello fornisce un'ipotesi per tale trasformazione. I feudatari avevano diritto di esigere il pedaggio da chi transitava sulle loro terre, diritto che venne revocato da un editto imperiale nel XIII secolo. Questo “sopruso” dell’imperatore potrebbe aver causato un repentino passaggio di fazione, e  costretto i signori del luogo ad estorcere denaro in modo meno elegante e legale, anche se altrettanto efficace. La rapina divenne poi nuovamente diritto, quando nel 1313 una commissione inviata dai Savoia - che avevano esteso il loro dominio fino alla Marca d'Ivrea - appurò lo stato di bisogno del feudo e la conseguente necessità di esigere pedaggio.


In epoche più recenti Carlo III di Savoia nel XVI secolo, provvide allo smantellamento del castello per motivi militari, ma perse la causa intentatagli dai proprietari di allora e dovette procedere alla ricostruzione.


Gli ultimi signori di Cesnola furono i Palma che ottennero il feudo a fine ‘700; vale la pena accennare alcuni membri di tale casata: il conte Luigi, che fu console statunitense a Cipro, archeologo e direttore del Metropolitan Museum of Art di New York. Giulio Palma di Cesnola, ufficiale di cavalleria ed asso della prima guerra mondiale oltre che grande amico e compagno di volo di Gabriele d’Annunzio. Il conte Alerino fu scrittore magistrato ed implicato nei moti rivoluzionari italiani.  


Le rovine passarono quindi di proprietà del beneficio parrocchiale della pievania di Settimo Vittone.

 

 




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