Storia in soffitta

Il Ponte del Diavolo
A Lanzo Torinese una struttura attribuita a Belzebù

Lascia un commento approfondimento di: Danilo Alberto



Nei pressi di Lanzo, poco lontano dal centro abitato possiamo godere di un bell’esempio della sopraffina tecnica costruttiva medioevale, anche se la tradizione vuole che il reale costruttore di questa splendida struttura non appartenga a questo mondo.

 

Ma procediamo con ordine, l'aspetto leggendario verrà trattato tra breve.

 

Il ponte venne realizzato tra i fianchi dei monti Basso e Buriasco, in una stretta frattura della roccia.

 

Una teoria sostenuta da alcuni autori prevede che a monte di questo passaggio esistesse in epoche remote un grande lago che si estendeva fino a Germagnano e oltre e che la Stura, prima di scavarsi questa nuova via, anticamente defluisse dal lago nei pressi dell'attuale Torre degli Challant di Lanzo.

 

Sorge tra le confluenze nella Stura dei torrenti Uppia e Tesso. È posto allo sbocco delle Valli nella pianura, esso ne rappresentava, non solo simbolicamente, la porta di accesso e di guardia.

 

Il manufatto,  noto anche con il nome di "Ponte del Roc" insieme ad altre opere di valore storico ed ingegneristico presenti nelle Valli, fu costruito nell' ambito del processo di ritracciamento e potenziamento delle vie di comunicazione, intrapreso dai principi sabaudi e dagli altri signori di quei territori.

 

Nonostante l' intento di creare uno stato unitario che si estendesse dal Rodano all'Adda, i territori sabaudi tendevano naturalmente a coagularsi in due entità distinte, la cosiddetta Patria oltremontana a nord-ovest della catena alpina, e la Patria cismontana a sud-est delle Alpi. Appare così evidente l'importanza delle comunicazioni tra le due parti, comunicazioni che si svilupparono attraverso la Valle di Susa, la Valle d'Aosta e le intermedie Valli di Lanzo.

 

All' origine del ponte vi fu anche una ragione strategica locale: si rendeva infatti necessario poter disporre di una via di accesso alla pianura che fosse indipendente e svincolata dallo stato dei rapporti tra i principi sabaudi e gli Acaja signori di Balangero, Mathi e Villanova ed  i marchesi di Monferrato, signori di Corio. Occorreva quindi aprire una strada sulla destra orografica della Stura verso Ciriè e Robassomero.

 

Il ponte inoltre risultava fondamentale per le comunicazioni tra la pianura e le Valli, nell'ambito delle quali, fino alla costruzione di un più recente sistema viario, ricoprì ruolo centrale per il controllo dei traffici commerciali, per il passaggio di truppe, per l'isolamento delle valli dai pericoli di guerre ed epidemie.

 

Era il primo giorno del mese di giugno 1378, quando la Credenza di Lanzo, ovvero l'organo di governo di Lanzo paragonabile al moderno consiglio comunale, deliberò  la costruzione del nuovo ponte. Nella stessa seduta si decise anche lo stanziamento per l'opera di 1400 fiorini d'oro, con il consenso del vice castellano Aresmino della Casata dei Provana di Leynì, alleati dei Savoia e direttamente interessati alla difesa ed allo sviluppo delle Valli di Lanzo, poiché erano anche feudatari di Usseglio e Viù.

 

Per recuperare la cospicua somma il conte Amedeo VII di Savoia, detto il Conte Verde, concesse di rifarsi con un dazio decennale sul vino.

 

Su questa che fu l'origine storica si intrecciarono presto varie leggende in cui il ponte era il principale protagonista, a testimonianza dell'importanza che rivestiva.

 

Certamente la più famosa è quella secondo la quale il ponte deriverebbe il suo nome dal demonio in persona, a cui i lanzesi si sarebbero rivolti per riuscire a realizzare finalmente la struttura, dopo i due insuccessi collezionati dai costruttori umani.

 

Vale la pena ricordare che quello di Lanzo non è l'unico ponte la cui costruzione viene attribuita al diavolo, ve ne sono numerosi altri sia in Italia che all'estero. Con tale denominazione ed in tali leggende, ricche di elementi comuni, sembra trovare espressione "una specie di riconoscimento dell'estrema difficoltà a costruire tali opere d'arte e di ammirazione per la loro bellezza e solidità." Il demonio poi, diciamolo pure, in queste costruzioni che realizza sempre molto velocemente, non ottiene mai un grosso riconoscimento anzi, di solito incontra una figura dalla solida fede, quasi sempre un santo locale che riesce a fargli fare una pessima figura e a farlo fuggire indispettito lasciando qua e là la traccia del proprio passaggio,  la sua impronta è chiaramente presente anche nei pressi della costruzione lanzese.

 

Sempre legata al nome di Ponte del Diavolo è un'altra leggenda secondo la quale l'opera assunse tale denominazione dal soprannome  'L Diav (Il Diavolo in piemontese), con cui era conosciuto il capomastro incaricato della sua costruzione. Dopo due crolli consecutivi del cantiere, sarebbe stato infatti chiamato a sovraintendere alla costruzione un nuovo capomastro, la cui fama di diabolico costruttore si sarebbe poi trasferita alla sua creazione.

 

Meno poetica, ma certamente verosimile per la sua nota di grande  umanità, è un'altra leggenda secondo la quale fu la gente del borgo di Lanzo ad affibbiare tale soprannome al nuovo ponte, a causa delle gravose spese sostenute per la sua costruzione, ricordiamo che era stato imposto un forte dazio sul vino. Stufa di bere a caro prezzo, la gente avrebbe preso infatti a chiamare 'del diavolo' la nuova opera, secondo il senso di bonaria maledizione con cui tale espressione è usata in piemontese.

 

Per completezza di informazione ricordiamo che altre fonti, del tutto inattendibili dal punto di vista storico, forse riferendosi a precedenti manufatti costruiti all' incirca nello stesso punto, fanno risalire l' origine del ponte chi a Giulio Cesare chi a Marco Marcello, che lo avrebbe attraversato con 45.000 soldati per andare ad affrontare Annibale sui valichi alpini. Sappiamo bene che qualora tutte le leggende relative ai transiti di Annibale fossero vere, il generale cartaginese avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita sulle nostre Alpi, quasi come Giuseppe Garibaldi a poltrire nelle varie abitazioni della nostra penisola.

 

Quella che ci appare come un portale sulla struttura venne fatto costruire nel 1564 poiché in varie località del Piemonte si riaccesero focolai di peste, sempre presente con carattere endemico.

 

Il 19 luglio (di quell'anno) innanzi al luogotenente del pretore e giudice di Lanzo, seduto, secondo le vecchie consuetudini "sopra un bancho di boscho, quale suo tribunale" si unirono i due sindaci ed i credenzieri (consiglieri) di Lanzo per deliberare "sulla conservatione della sanità, i quali essendo tutti unanimi et concordati, et nessuno discrepante, he stato proposto che he dubbio di peste in Avigliana et in altri luoghi di questi paisi, et si come he stato scritto per il signor governatore di Avigliana he stata sbarrata la casa di maestro Giacomo Vernaca, il quale la rotta et he fuggito con sua moglie et se crede sia venuto in queste bande, et he necessario provvedersi per non esser infestati di peste". La Credenza per premunirsi contro il pericolo, delibera di fare una porta al ponte del Roc ed un'altra alla porta delle Teppe; d' alzare alcuni tratti di mura della cinta che circondava il borgo e di far guardia.

 

 

Il ponte è a campata unica a schiena d'asino, con luce di circa 37m, ed un'altezza massima sull'acqua di 15m. Le spalle sono imponenti ma, a differenza di altri esempi coevi, non appare evidente l'esistenza in esse di locali, da cui si potesse sparare attraverso feritoie, a difesa del ponte stesso. La forma e le dimensioni delle spalle fanno pensare che i costruttori abbiano prima realizzato le due solide estremità, protese mediante due specie di mensole verso il centro del fiume, e quindi tra esse abbiano teso l'arco centrale. Tale procedimento spiegherebbe l'assenza di simmetria e l'andamento non curvilineo del fianco sinistro.

 

Elemento non accessorio appare il parapetto, che collabora con il seppur esile arco a creare una sezione ad U dalla notevole rigidità strutturale. Tale soluzione si ritrova anche in altri ponti coevi, quale ad esempio il ponte di Forno di Lemie.

 

Da ammirare, aiutati dal contesto naturale, l'armonia complessiva dell'opera, frutto dello spirito e della tecnica medievale, che hanno saputo materializzarsi in questo ed in altri ponti con la stessa bellezza, anche se in forme architettoniche diverse, delle più famose cattedrali.

 

Come ultima nota si vuole riportare quanto scrive Alessandro Luciano: "I racconti popolari narrano che nel luogo si danno convegno le fate. Soprattutto le notti di luna piena offrono la visione di un suggestivo panorama, si respira un'aria diversa intrisa di magia e mistero e, si dice, al di la del ponte e del tempo c'è sempre qualcuno che ci attende!"

 

Fonti Bibliografiche

 

Giovanni  e Pasquale Milone - Notizie delle Valli di Lanzo 1911

 

 




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