Storia in soffitta

Santa Maria di Doblazio
Da re Arduino d’Ivrea ai cavalieri templari, un Santuario in onore della Madre di Dio.

Lascia un commento approfondimento di: Valter Fascio



Un Santuario in onore della Madre di Dio

Appena sopra il paese di Pont Canavese - il romano Ad duos pontes - giungendo dalla pianura, lo sguardo del più ignaro viandante è catturato a mezzodì dall’imponente costruzione di una chiesa ubicata su di un aereo sperone di roccia del Monte Oliveto(1) .
Nel secolo XII la devozione al Cristo sofferente fu rinfocolata dalla descrizione degli itinerari dei pellegrini in Terra Santa; il Monte degli Ulivi fu ricordato da san Bernardo nel carme dedicato ai templari, come simbolo della misericordia, contrapposto alla Valle di Giosafat. L’età delle crociate aveva visto una vera moltiplicazione dei nomi legati al ricordo della Passione e anche nel quadro geografico del Canavese si continuò meditare su questi temi della Fede e debitamente a proporli attraverso la toponomastica.
Il Santuario di Santa Maria in Doblazio, antica pieve risalente al secolo VII genitrice di tutte le chiese delle valli Orco e Soana sulla cui fondazione si intrecciano storia e leggenda, non sfugge a questa precisa lettura. Resti di sepolture medievali si incontrano nella vasta e imponente cripta sotterranea. Per tradizione, a cui accenna l’iscrizione ubicata sull’arco del presbiterio, è la prima chiesa eretta in alta Italia ad onore della Madre di Dio, per la storia, la terza in assoluto dell’intera cristianità. Per la verità, la sua storia è molto interessante ma di questo edificio e della relativa costruzione si sa poco o nulla. Il documento più antico è dell’anno 1585, riguarderebbe una visita apostolica che parla della chiesa, tuttavia si sa che il primo parroco di Pont, e la parrocchia della comunità era senza dubbio questa, fu un tal Pietro da Odone, come si legge in un atto del 1309(2) .
L’edificio possiede una pianta poligonale con la curiosità architettonica di due altari maggiori vicini e frontali, cosa davvero insolita in una chiesa ad una sola navata, a destra l’altare della Beata Vergine delle Grazie, a sinistra quello dell’Assunta. La dedicazione della chiesa alla Madonna è suffragata dalla presenza di altri due altari a lei intitolati: Madonna del Carmine e Madonna nera di Loreto(3).

Addossata ad una parete vi è una grossa colonna in pietra in un unico blocco, sostenente due archi di volta. Sopra l’altare un antico affresco, forse del ‘400, rappresenta la miracolosa apparizione della Vergine al popolo, con il largo mantello disteso e le braccia aperte in atto di protezione di tutti i fedeli.
La chiesa presenta anche due singolari campanili: quello circolare, del secolo XI, era in origine un solido torrione della bastita romana di guardia e avvistamento dei Suanensi. Sorta sopra ad un sacello intorno alle costruzioni pagane, poi appartenenti ai signori locali, divenne possesso dell’antica famiglia nobiliare dei De Doblatio. Quando le popolazioni si convertirono al cristianesimo, del sacello, cioè della piccola edicola non restò più traccia. Esistono, tuttavia, sotto la chiesa, alcuni vani e passaggi segreti (di recente esplorati dagli archeologi) collocati sopra il tempio pagano originale, utilizzati ininterrottamente per centinaia di anni come unico cimitero cristiano da tutte le popolazioni appartenenti alle valli Orco e Soana. L’altezza della volta dal piano di calpestio è ridotta a causa del livello del terreno, con il trascorrere del tempo sopraelevatosi a causa dei notevoli resti di inumati medievali.

Il secondo campanile, di foggia quadrata, in muratura, è del periodo settecentesco e fu eretto a spese della confraternita di San Giovanni Decollato, anch’essa titolare di un altare, poiché dedita appositamente alla sepoltura dei defunti e al suffragio delle anime del purgatorio.

La donazione di re Arduino dopo l’assedio del 1004-1005

La tradizione vuole quindi che il Santuario sia sorto su un precedente culto pre-cristiano, successivamente ricostruito nel Mille dopo l’assedio di Pont, come ricorda una lapide bianca posta nel presbiterio in fondo alla navata sinistra. Il munifico finanziatore sarebbe stato quel marchese d’Ivrea Arduino, divenuto re d’Italia in seguito alla vittoria conseguita dai suoi fedelissimi secondi militi nell’epico scontro con le truppe dell’imperatore Enrico II. La resistenza degli arduinici nel lungo inverno 1004-1005, secondo gli storici, avvenne lungo l’asse viario principale del Cursus publicus, l’antico itinerario Salto-Doblazio, a protezione dall’alto dell’abitato strategico di Pont(4). L’epigrafe stessa ricorda la donazione di cento giornate di terreni da parte di Arduino d’Ivrea per il sostentamento del parroco, come contribuzione alla ricostruzione della struttura stessa, danneggiata dalla violenza dello scontro con i soldati imperiali. 
L’edificio romanico fu poi nuovamente rimaneggiato nel Seicento. Nella vecchia sacrestia, è esposta un’urna-lavabo in marmo recante scolpito lo stemma della Casa Savoia. Si ritiene che possa essere un omaggio di Amedeo di Savoia detto il conte Rosso, quando a Pont nel 1389, su arbitrato di Gian Galeazzo Visconti, passò a ricevere l’omaggio dei Conti del Canavese, le cui terre assoggettate entravano definitivamente a far parte del dominio sabaudo. Apparentemente, pochi sono i resti medievali rimasti e l’unica iscrizione cristiana latina ancora visibile, seppur molto curiosa e assai degna di nota, è incisa su una lastra di pietra, in lettere gotiche, forse risalente agli inizi del Trecento.

I cavalieri templari a Doblazio?

L’epigrafe scolpita sul pavimento di Santa Maria richiama la simbologia templare, la lettera G “teth” iniziale e rovesciata, per non tradire il «Sacro Mistero», è collegata al numero 9 dell’alfabeto ebraico. Essa rappresenterebbe l’Armonia del trimundio, cioè della vita animale, spirituale ed emotiva, concetto assai caro all’Ordine. Se questa chiesa ebbe in parte rapporti con l’Ordine dei Templari, i quali affidavano la costruzione degli edifici sacri ad Ordini Muratori, questo ne è un segno tangibile.
La toponomastica del luogo di Doblazio - già citata per il sito di Monte Oliveto - riporta altri due termini templari di uso frequente: baussant (il vessillo), fraris (il monaco), oggigiorno, rispettivamente, gli abitati di Bausano e Frassinetto. Si tratta, ovviamente, di ipotesi personali, tuttavia (unite alle precedenti) abbastanza singolari e significative. Ancora, nella chiesa unna statua (San Giovanni?) con un calice in mano. La coppa ricorda un episodio leggendario raccontato da Jacopo da Varagine nel teso della Legenda aurea. Quando, qualche tempo dopo la crocifissione di Cristo, Giovanni giunse ad Efeso, gli orafi del tempio di Diana temettero che a seguito della sua predicazione avrebbero perso i loro affari. Aristodemo, gran sacerdote del tempio, impose allora a Giovanni la scelta di adorare Diana oppure di bere un calice di vino avvelenato. Giovanni scelse di bere il vino, ma avendo fatto un segno di croce sul calice, il veleno si trasformò in un serpente che scappò via. Così Giovanni bevve senza alcun danno e Aristodemo si convertì al cristianesimo.
La coppa, simbolo esoterico, sarebbe secondo alcuni l’indizione del fatto che il luogo allude alla vera natura del calice. Il Figlio dell’Uomo, frutto dell’Amore del Cielo per la Terra, dell’accoglienza della Terra verso il Cielo, espressione di ogni movimento dell’Anima Universale, che nessuno esclude e tutti riporta dentro il Cerchio Sacro della Vita(5). Il mistero, dunque, si infittisce...
Come i celti svolgevano i loro riti non lontano da luoghi ricchi di acqua, le chiese templari erano ubicate in prossimità di ponti sui fiumi dove transitavano i pellegrini, i quali venivano fortemente presidiati dai cavalieri. E Ad Pontes (Pont) nel medioevo era una località strategica di transito e controllo militare lungo le vie che attraverso il passo Galisia, in valle Orco, e Campiglia, in val Soana, scendevano nei territori della Tarantasia e del regno di Borgogna.
La sola presenza nell’edificio di Santa Maria di diverse croci patenti rosse, a bracci allargati alle estremità (con il significato di protezione del mondo), per gli storici di professione non dimostrerebbe nulla. Gli indizi, tuttavia, sono davvero tanti, dal momento che a Noasca è documentata da Marco Cima una chiesa dedicata, guarda caso, sempre a Maria Assunta. Quest’ultima venne assegnata dal conte Guido de Canavise (come si evince da un manoscritto) proprio ai cavalieri templari per l’assistenza ai pellegrini che nel medioevo attraverso il passo Galisia si recavano a Roma. Mentre anche a Ceresole Reale è ancora oggi presente una cappella dedicata a Maria Maddalena, la santa notoriamente prediletta dai templari. In Piemonte l’Ordine dei Templari non fu perseguitato come in altri stati e quando, nel 1312, il Concilio di Vienna lo sciolse, tutti i suoi possedimenti furono assegnati ai Cavalieri Gerosolomitani(6).
In conclusione, sembrerebbe verosimile che la stessa Santa Maria in Doblazio, ubicata più a valle, a Pont, potesse davvero essere tra il secolo XII-XIII la chiesa più importante e la mansio di accoglienza per quegli stessi pellegrini. L’Europa del Mille era caratterizzata da teocentrismo e misticismo, le comunità di allora vivevano legate alla propria terra ma tutti i viaggi o pellegrinaggi portavano sempre verso i valichi e lungo le vie verso i luoghi santi, appunto, di Santiago di Compostela, Roma e Gerusalemme...

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(1) Giorgio Picasso, G.C. Andenna, Giuseppe Motta, Mauro Tagliabue. Tra umanesimo e ‘devotio’: studi di storia monastica. Vita e pensiero Editrice, Milano 1999, p. 119
(2) AA.VV. Sui Sentieri della Val Soana. Itinerari alla scoperta della Storia e della Cultura Alpina. Edizioni CDA, Torino 1997
(3) Silvia Coppo. Santa Maria di Doblazio. Hever, Ivrea 2003
(4) Marco Cima. Uomini e terre in Canavese. Nautilus, Torino 2003, pag. 318
(5) Francesco Marziali. Androginia della Croce Patente. Periodico “Fenix”, n°24 ottobre, Milano 2010
(6) Alessandra Luciano. Piemonte Terra di Magia. Edizioni Horus , Torino 1990, pag. 174




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