Storia in soffitta

L'alta via del sale
Il "Buco del Viso", il primo tunnel alpino della storia

Lascia un commento approfondimento di: Danilo Alberto



I monti e le cime che coronano la penisola italiana, fonti inesauribili di escursioni e passeggiate, rivestono spesso il ruolo di silenziose biblioteche del nostro passato. Occorre certo "leggere" quanto propongono in un modo un po' diverso da quello a cui siamo abituati, le informazioni che se ne traggono sono sempre interessanti e spesso estremamente singolari.

A volte le montagne ci raccontano le loro ferite: è il caso, ad esempio, del Monte Pasubio, posto tra Vicenza e Trento, teatro del primo conflitto mondiale ed in particolare di quella “guerra sotterranea” che prevedeva di raggiungere le postazioni nemiche per farle saltare con l’esplosivo (il 13 marzo 1918 è la data della grande mina austriaca da 50.000 chilogrammi che distrusse l’avamposto del Dente Italiano aprendo un grande squarcio sul monte); in altri casi ci lasciano fantasticare su enigmi quasi impossibili come individuare quel colle che vide transitare, prima della nascita di Cristo, i pachidermi condotti assieme ad un numeroso esercito dall’indomito Annibale Barca per attaccare e distruggere la potenza di Roma.
Vi sono poi aspetti curiosi e molto meno noti rispetto a quelli appena citati, finiti nella soffitta della memoria collettiva, che può essere interessante recuperare, proprio come le vecchie fotografie ingiallite delle nostre famiglie.

Il luogo è il marchesato dei Saluzzo nell’ultimo quarto del XV secolo alla corte di Ludovico II: un periodo decisamente difficile poiché le mire espansionistiche savoiarde non permettevano quel fiorire del territorio tipico degli anni precedenti. Le tensioni si concretizzarono in una sfortunata campagna militare con il duca Carlo I di Savoia, detto il guerriero, nel 1487. Ludovico doveva fare i conti anche con la difficile situazione economica nelle sue terre, causata dalle ingenti spese belliche sostenute dal marchese stesso per appoggiare le campagne militari francesi in territorio italiano, fatto questo che rese molto tesi i rapporti con i Savoia i cui possedimenti circondano di fatto le terre dei Saluzzo.

Occorreva promuovere il commercio sperando che ciò potesse far ripartire l’economia rimpinguando così le casse del feudo. L’unica via possibile sembrava essere ad ovest dove la sola catena alpina fungeva da barriera verso la Francia ed il Delfinato.
Furono quasi certamente tali premesse che fecero volgere lo sguardo verso l’alto ed in particolare verso il colle delle Traversette, uno stretto intaglio a quota 2947 m. che unisce il monte Granero-Frioland con il gruppo del Monviso, utilizzato da lungo tempo perché piuttosto comodo e rapido da attraversare per viaggiatori e mercanti impegnati prevalentemente nel trasporto del sale proveniente dagli impianti francesi di Aigues-Mortes(1)  e Berre e diretti verso il Monferrato, mentre in senso opposto procedevano invece carichi di canapa, lino ed olio di noce.
Il percorso venne potenziato ed una strada che risaliva la Valle del Po per raggiungere il colle, scendere poi in territorio francese attraverso la Valle del Guil ed arrivare così in Provenza, venne promossa e realizzata da Ludovico II.
Un problema sembrava tuttavia insormontabile: il colle, data la notevole altezza, risultava percorribile nei soli mesi caldi, poiché neve fresca e ghiaccio uniti agli strapiombi presenti soprattutto sul versante italiano, provocavano incidenti spesso mortali tra i temerari che decidevano di affrontare il tratto nei periodi invernali.
Gli esperti di marketing, oggi, ci insegnano che non esistono problemi ma solo opportunità di fatto senza inventare nulla di nuovo. Fu proprio per sfruttare quest’opportunità che il problema venne affrontato in maniera innovativa e follemente geniale: visto che non si poteva, come diremmo oggi, “mettere in sicurezza” il percorso alto del colle, sfidando la tecnologia dell’epoca e le numerose critiche, venne avanzata l’idea di perforare la montagna per avere un passaggio sicuro in tutte le stagioni. Il progetto piacque anche in terra di Francia, il traforo avrebbe reso molto veloci i collegamenti (in tre giorni da Saluzzo a Grenoble) e soprattutto sarebbero diminuiti i pericoli portati dalla cattiva stagione.
Nel febbraio del 1478 presso Arles, presenti i rappresentanti del re di Francia, il re Renato di Provenza ed il parlamento del Delfinato, venne sottoscritto un accordo con l’ambasciatore del marchese Ludovico II, un personaggio che abbiamo già incontrato nelle pagine de “La storia in soffitta”: il vischese Giovanni il Piccolo(2).
L’impresa, al tempo definita impossibile, venne affidata a due imprenditori: Martino d’Albano e Baldassarre di Alpeasco. Essi si impegnavano per dodicimila fiorini a realizzare in appena diciotto mesi il traforo le cui dimensioni dovevano consentire il transito dei muli con i loro carichi.
I lavori iniziarono, a causa delle abbondanti nevicate dell’inverno precedente, solo nel luglio del 1479. Si procedette in leggera salita verso la Francia, molto probabilmente per facilitare l’estrazione dei detriti di lavorazione dall’area di lavoro, si scoprì presto che la pendenza favoriva però l’interramento della galleria, a cui si pose rimedio realizzando un paravalanghe sul versante francese. Il tracciato finale risultava anche leggermente curvo, questo perché si lavorò seguendo le zone di minima resistenza della roccia.

La tecnica costruttiva, non potendo disporre degli esplosivi, era quella antica utilizzata già dai romani: un grande fuoco veniva acceso contro la parete che si intendeva lavorare, la pietra subiva un primo indebolimento a causa del calore. La roccia veniva quindi attaccata con acqua fredda per disgregarla ulteriormente, si agiva quindi con picconi e martelli. Si utilizzavano anche pali di legno conficcati nelle fessure della roccia e poi bagnati abbondantemente fino a farli gonfiare frantumando così la dura pietra. Si è calcolato che sul fronte di lavoro al massimo potevano operare due o tre uomini.

Nella seconda metà del 1480 l’opera era compiuta nei tempi pattuiti ed il nuovo passaggio, lungo circa cento metri, venne immediatamente aperto al transito delle merci.
Dell’impresa si interessò anche l’imperatore Federico III: sappiamo infatti che in un suo diploma del febbraio 1484 richiedeva la costruzione di una cappella dedicata alla Vergine ed a San Cristoforo, patrono dei viaggiatori. Federico entrò anche nei dettagli, stabilendo che la cappella doveva avere un titolare che la presidiava con il compito di celebrare le messe. Tali istanze non furono tuttavia mai realizzate.

Si comprese subito che si trattava di un progetto azzeccato. Dalle registrazioni dei passaggi si rileva che a Revello, punto di termine della strada del Viso, nonché luogo in cui venivano riscosse le gabelle per il transito delle merci, ogni anno transitavano circa 20.000 sacchi di sale. Purtroppo divenne anche un importante transito per milizie ed artiglieria leggera e ciò fece sì che il Buco di Viso (o Përtus dël Viso in lingua piemontese) abbia alternato durante la sua storia, lunghi periodi di chiusura a brevi aperture. Ancora negli anni trenta del secolo scorso era ritenuto un obiettivo militare, tanto da esser tenuto in considerazione nella realizzazione del “Vallo Alpino”, l’opera difensiva voluta dal regime fascista, equivalente italiano della “Linea Maginot”.

Oggi è raggiungibile da chi pratica trekking partendo dal Pian del Re e percorrendo quanto rimane dell’ultimo tratto dell’antica via di avvicinamento a quello che fu il primo traforo alpino della storia. Pertanto, se un giorno qualcuno vi racconterà che il primo tunnel realizzato dall’uomo è la galleria del Frejus, ricordategli che la realizzazione di Sommelier, Grandis e Grattoni è la prima della storia costruita con l’uso degli esplosivi, ma già 400 anni prima di quest’opera nacque il dimenticato Buco del Viso e che vi fu anche il tentativo nel 1614 di costruzione di un tunnel sotto il Tenda, mai realizzato, ma questa è un’altra storia che forse un giorno… finirà in soffitta.
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(1) - Località già incontrata nelle pagine de “La storia in soffitta” nell’articolo “La Bagarre des italiens” – Livio Barengo (28/08/2012)
(2) - Vedi articolo “
Giovanni il Piccolo” – Giuseppe Avataneo (01/09/2012)  




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