Il progetto

PREAMBOLO

Nel quadro del grandioso atto di devozione collettiva quali furono i pellegrinaggi in epoca medioevale, si ricordano soprattutto tre itinerari principali, ma il fenomeno interessò tutta l’ Europa cristiana ed oggi $egrave; molto arduo comprendere pienamente la natura della spinta che costrinse tante persone a viaggi estremamente disagevoli e pericolosi, con lo scopo di poter pregare in luoghi particolari, oppure quale penitenza per l’espiazione di colpe più o meno gravi.
Come accennato, le mete più praticate, oltre a quelle di interesse puramente locale, furono essenzialmente tre: Gerusalemme, per la presenza dei luoghi della passione di Cristo, Roma, per le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, ed infine Santiago de Compostela in Spagna, per la tomba dell’apostolo Giacomo.
A queste destinazioni principali, oltre a quelle di carattere locale, se ne possono aggiungere altre, come quelle che conducevano ai santuari dedicati all’Arcangelo Michele, questo documento non tratterà tali mete.

Col tempo i pellegrini che percorrevano gli itinerari più praticati furono contraddistinti col nome della loro destinazione o con quello delle strade che transitavano ed adottarono un simbolo caratteristico facilmente riconoscibile in tutta la cristianità.
Quelli che intendevano recarsi a Gerusalemme furono detti Gerosolimitani, città emblematicamente raffigurata con una palma, mentre furono rappresentati dalla croce o la chiave i Romei che si recavano a pregare sulla tomba di san Pietro a Roma. Infine la conchiglia, detta appunto di San Giacomo, fu il retaggio dei viaggiatori che raggiungevano Compostela, cittadina spagnola sull’oceano Atlantico, presunto luogo della sepoltura di questo apostolo.

A quel tempo le strade non erano solo percorse da pellegrini, ma da turbe di persone di ogni genere, quali mercanti, briganti, soldati, nobili, avventurieri, re, prelati, prostitute, pezzenti eccetera. Ma poiché tutta questa gente, qualunque fosse la sua condizione, andava nutrita, alloggiata e se si ammalava anche assistita, lungo gli itinerari più frequentati sorsero ostelli e chiese dedite a questo scopo, spesso gestite da persone che miravano unicamente alla grazia di Dio.
Naturalmente non tutti i viaggiatori erano in queste condizioni, cosicché per chi poteva viaggiare più comodamente nacquero nei centri maggiori mercati nei quali si poteva comprare quanto occorreva e taverne in cui alloggiare e divertirsi. Da parte loro i vari signori dei luoghi attraversati, esigendo un pedaggio, garantivano la sicurezza delle strade e la loro manutenzione, generalmente eseguita dai contadini a titolo di roide (1).

Nel caso del Canavese e del Vercellese, la funzione di provvedere alla sussistenza dei viandanti fu più che altro esercitata, provocando fieri contrasti con Ivrea, dal Comune di Vercelli, che creò lungo le strade delle butee (botteghe) sul modello degli horrea publica romani, in cui si vendeva tutto quanto poteva occorrere al viaggiatore. Col tempo la funzione della città di San Eusebio diventò anche politica e cercò di estendere la propria influenza fondando o rifondando lungo le strade nuovi borghi detti franchi a causa del loro status particolare (Borgo d’Ale, ad esempio), ed acquisendo diritti o esenzioni, come la cosiddetta curaja (2), sui mercati delle località più frequentate.
Esemplare è il caso di Mazzè, sede di un traffico consistente perché qui esisteva un ponte sulla Dora Baltea, il cui signore, nella prima metà del XII secolo, cedette appunto al Comune di Vercelli la “Curaja” sul mercato locale.

Salvo che per lo spagnolo “Camino di Santiago”, il fenomeno del pellegrinaggio medioevale ebbe praticamente fine nel XVI secolo, allorché le strutture economiche e politico-religiose che ne garantivano l’esistenza scomparvero col mutare dei tempi, salvo poi essere riscoperto in epoca moderna, quando alla via Romea proveniente da Canterbury e diretta a Roma fu dato il nome di Via Francigena, promovendo una confusione che permane tuttora.
Va subito ribadito che la Via Francigena non era una strada, ma un itinerario delineato dagli studiosi moderni come “Territorio Strada”, che tornavano ad incontrarsi in luoghi particolari, quali città, ponti, passi montani e simili.
Oggigiorno si tende ad individuare quale percorso più accreditato quello descritto nel suo resoconto da Sigerico, arcivescovo di Canterbury, recatosi a Roma nel 994 d.C. a ricevere il Palio dal Papa e successivamente, anche se in maniera molto meno dettagliata, da Nikolas di Munkathvera, abate del monastero islandese di Thingor, che compì lo stesso viaggio un paio di secoli dopo.
Nel nostro caso le stazioni descritte da Sigerico che più interessano sono la XLIII Vercel (Vercelli), la XLIV Sca Agath (Santhia) e la XLV Everi (Ivrea), comprovanti che l’itinerario passava anche nel nostro territorio, seguendo pressappoco quel che restava della romana Via delle Gallie, tenendo però conto di quanto avvenuto nei secoli successivi alla caduta dell’Impero, epoca in cui nessuno provvedeva più alla regolamentazione delle acque meteoriche, alla manutenzione dei tracciati stradali e delle infrastrutture.

(1) Roide – Sorta di prestazione gratuita che il servo della gleba doveva obbligatoriamente prestare a favore del signore del luogo o di altre istituzioni che ne avevano diritto.
(2) Curaja – Letteralmente cintura, corda. Dazio di spettanza al feudatario del luogo sulle merci trattate nel mercato locale.


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